I guaritori non esistono. Io al massimo sono un coach
La vita è come un libro. Non saltare alcun capitolo e continua a girare pagina. Un giorno capirai perchè ogni capitolo era necessario.
Il lavoro che svolgo mi concede l’onore di “ascoltare”. Ascoltare chi vede in me il potenziale risolutore dei propri problemi fisici o quantomeno un professionista che dedicherà parte del suo tempo alla ricerca della strada giusta da percorrere per aiutarlo a raggiungere la guarigione.
Sottolineo che “mi prendo cura” e non “guarisco”: i pazienti si guariscono da soli.
Vi sarà sicuramente capitato di incontrare qualcuno che vi abbia chiesto “come va?” oppure “come stai?”.
Ecco, vi sarete accorti come siano pochi quelli che ascoltano la vostra risposta!!!
La maggior parte delle persone non è interessata ad ascoltare né il vostro stato di benessere (magari per invidia) né lo stato di malessere (probabilmente per paura di dovervi aiutare!).
Finisce così che il “tutto ok” tende a diventare la risposta di rito, anche se non è vero, portandovi a nascondere nel profondo i vostri dispiaceri.
Ed è proprio riflettendo su queste situazioni che ho cominciato a capire quanto sia importante ascoltare ed a domandarmi quante volte anch’io mi sia comportato così in passato (e sicuramente lo avrò fatto!).
Ho cercato sempre di migliorare il mio comportamento nei confronti della persona di fronte a me, focalizzando al massimo l’attenzione sul suo modo di esprimersi e giungendo alla conclusione che, nel mio lavoro, sia corretto essere in primo luogo “colui che ascolta” poi “colui che sente” e solo alla fine “colui che modifica”.
Chi sa “ascoltare” sa interessarsi davvero a quello che hai da dire: non importa condividere le opinioni, bisogna entrare semplicemente in empatia con l’altro, sintonizzarsi sulla stessa frequenza, prendere parte a ciò che l’altro dice cercando di calarsi nella situazione, dando così un sostegno al processo di “auto guarigione” del paziente.
Quindi, ascoltare ed entrare in sintonia, è l’approccio primario che deve verificarsi.
Ritengo di non potermi prendere cura delle persone se non mi sintonizzo sulla loro stessa frequenza: sarebbe come pretendere di ascoltare una stazione radio mentre sono su un’altra.
Di conseguenza un eventuale esito negativo della terapia intrapresa potrebbe essere dovuto alla scarsa capacità di ascolto anziché alla mancanza di nozioni medico-scientifiche.
D’altra parte ho appurato nel tempo che il paziente non racconta tutto ciò che dovrebbe ai fini della diagnosi e quindi della cura e dà per scontati molti aspetti e sfumature importanti del suo malessere fisico o addirittura li tiene nascosti convinto che non sia utile riferirli.
Ecco l’importanza del “sentire”, cioè provare, percepire qualcosa, avvertire una sensazione… un sentire riferito al tatto e non all’orecchio, visto che il corpo e l’inconscio parlano e raccontano più di quanto una persona possa immaginare.
Il nostro inconscio non mente. Il corpo si esprime senza parlare. Ascoltare e sentire in soluzione di continuità senza distogliere l’attenzione implica qualcosa in più: il tutto si traduce in un’emozione. Questa è la bellezza del mio lavoro, quello che me lo fa amare e fa sì che ogni persona/paziente sia unica, con proprie caratteristiche che mi regalano ogni volta un’emozione, una emozione diversa ad ogni incontro pur trattandosi della stessa persona.
Ogni volta è come se fosse una persona nuova.
Può sembrare strano, ma i pazienti che arrivano nel mio studio, per un motivo o per un altro, hanno un comune denominatore… non il dolore, ma l’essere “infelici”.
Agisco da sempre per fare stare meglio gli altri dal punto di vista fisico ma, visto che l’infelicità che percepisco tra i pazienti deriva anche da altre problematiche, mi sono riproposto di creare la “formula magica” che racchiuda in sé lo stratagemma per il raggiungimento del benessere in senso lato. Questo è quello che voglio riuscire a fare!!!
Non credo di peccare di presunzione, casomai spero sia da apprezzare l’intento.
Quale luogo migliore del lettino di un fisioterapista per esternare, parlare di certi disagi? E dopo un po’ di confidenza perché non raccontare tante cose in più oltre al malessere fisico?
Le confidenze, di solito, iniziano così: “Sai Antonio, all’improvviso mi sono accorto che qualcosa non va e, mentre mi sforzo di capire che cosa può aver fatto scatenare in me questo stato d’animo, non riesco ad approdare a nessuna spiegazione razionale. Mi sento impotente di fronte a tutto quello che accade, compreso questo tremendo dolore fisico che non mi abbandona ormai da troppo tempo…”.
Il dolore fisico viene menzionato alla fine del discorso, è la famosa ciliegina sulla torta.
In qualcuno c’è la consapevolezza che qualcosa abbia creato questa sensazione di malessere, in altri no.
Tutti, consapevoli o no, incolpano sempre chi sta intorno a loro per averli spinti in un vicolo cieco dal quale non riescono ad uscire o magari se la prendono con “Qualcuno” di più grande di loro come se fosse l’artefice di tanta sofferenza.
Bisogna capire che nell’immensità dell’universo esiste tutto.
La felicità o l’infelicità sono una scelta alla portata di tutti: avete richiesto quella e quella vi è stata data!!!
Siamo sempre accontentati!!!…
Vi sembrerà strano, ma cominciate a concentrarvi… Vi siete mai chiesti cosa volete veramente?
È una domanda importante su cui riflettere e non sottovalutiamo che nella vita per attrarre tutto ciò che si desidera dobbiamo innanzitutto decidere ciò che vogliamo davvero.
Importante in merito a questo argomento è la formazione dell’inconscio che avviene entro i primi sei anni di vita.
Fin da bambini, e lo vedo adesso con mia figlia, ci hanno insegnato a dire “vorrei” anziché “voglio”.
L’intento è quello di educarci al rispetto degli altri ma, per come la vedo io, in questa maniera il nostro inconscio si forma con la convinzione che tutto dipenda da terze persone e che, forse, non meritiamo ciò che desideriamo.
Viviamo impostati sul condizionale “vorrei” che ci limiterà per tutta la vita mentre dovremmo dire “voglio”, perché tutto esiste e dal momento che siamo vivi tutto ciò che vogliamo è già potenzialmente nostro senza saperlo.
“Chiedi e ti sarà dato”. Meglio ancora : “Chiedi, agisci e ti sarà dato”.
A questo proposito mi viene in mente un episodio che voglio raccontarvi.
Ad un corso, al quale mi ero iscritto per la mia formazione professionale, il professore chiese ad ognuno di noi il motivo per il quale eravamo lì ad ascoltare quello che aveva da dire.
Non mi era mai capitato che prima di iniziare un aggiornamento mi venisse fatta questa domanda.
Ognuno fornì la propria risposta, non nego con un po’ di imbarazzo o comunque di difficoltà per la situazione inaspettata verificatasi.
Un mio collega disse: “Sto facendo questo corso perché voglio più soldi”.
Sembra chiaro il significato: acquisire nuove nozioni per migliorare la propria professione, le proprie potenzialità e le proprie qualità di fisioterapista, in modo tale da poter chiedere anche una tariffa superiore.
Il professore si alzò, gli diede un euro e disse: “Adesso il tuo corso è finito, hai già guadagnato di più !!! Hai già più soldi di un minuto fa!!!”.
Rimasi sbalordito. Ma, credetemi, imparai più da quell’episodio che da tutto il corso.
Ho appreso che bisogna essere precisi quando si chiede, bisogna avere le idee chiare quando si fa una cosa e bisogna avere in mente in maniera dettagliata qual è l’obiettivo da raggiungere.
Nel caso specifico capii che il mio collega aveva confuso il mezzo con il fine, aveva indirizzato male la sua attenzione: doveva essere concentrato sul corso, i soldi sarebbero arrivati da soli in un secondo momento.
Concentrandosi sui soldi aveva sbagliato tutto ed il professore, in fin dei conti, lo aveva accontentato immediatamente… e senza dover fare il corso!!!
Impegnarsi a ricercare il successo, i soldi, il benessere potrebbe sembrarvi una soluzione per raggiungere la felicità, ma tutto questo si tradurrà solo in un grande dispendio di energia poiché la nostra attenzione sarà focalizzata su ciò che ci manca e non su quello che vogliamo o addirittura che già possediamo.
Rincorreremo un qualcosa senza mai raggiungerlo, fino ad accorgerci di avere perso tempo mentre avremmo potuto godere di tante cose che avevamo a portata di mano.
Alla luce di tutto questo non è che, proprio voi insoddisfatti, avete inconsapevolmente richiesto di essere infelici? E che adesso ogni scusa è buona per mostrare il vostro disagio o per dare la colpa a qualcuno per il fatto di star male?
Questa è solo la mia idea, un’ipotesi.
In base alla mia esperienza lo stato di infelicità che affligge l’essere umano è scatenato da tre fattori non tenuti nella giusta considerazione: la gratitudine, l’eterno cambiamento e il dubbio. Nei prossimi articoli proporrò, tra le altre cose, un approfondimento su questi 3 semi che dobbiamo assolutamente piantare nel nostro personale orto.